Questa nota è diretta al popolo di imprenditori reggenti il mondo agricolo che spero possa considerare scontate le affermazioni che la nota stessa contiene. Esporrò il parere del tecnologo alimentare su quanto l’Europa sta perpetrando ai danni della cultura alimentare mediterranea.
Giusto per iniziare, consideriamo che in quella che era considerata una culla scientifica creata per lo sviluppo delle colture vegetali in Europa, nell’Università di Wageningen, v’è oggi un gruppo di ricercatori che inneggia a nuove “tecnologie” intese a creare un dissesto inimmaginabile nella produzione vegetale e animale. L’utilizzo di bioreattori, capaci di consentire la moltiplicazione di poche cellule per produrre masse proteiche, ridotte in sembianza di carne, viene da questi bontemponi identificata come la nuova frontiera del benessere, ritenuta tale da risolvere il problema della fame nel mondo. D’altra parte, imprenditori agguerriti cavalcano il programma di lotta alle proteine di origine animale, sostanzialmente di origine lattea, creando agglomerati di proteine vegetali con sembianze di derivati lattiero-caseari. L’incongruenza mentale di altri sconsiderati sta inneggiando all’introduzione degli insetti fra le materie prime proteiche producendo farine da insetti e tentando di introdurle in miscela con sfarinati vegetali, con l’intenzione di dare in pasto alla classe dei seguaci di “Lucignolo” la così detta “innovazione” dell’arricchimento nutrizionale. L’Expo, intanto, ci ha fornito un esempio classico di disinformazione alimentare, a corollario dell’immagine di un albero della vita inneggiante all’insulso. Da ultimo, coloro che parlano quotidianamente di alimentazione in TV sono frutto di scelta fra persone che non hanno base culturale riconosciuta per dire quello che espongono con saccenza e il più delle volte confondendo la scienza dell’alimentazione con gli alimenti.
Anche la denominazione di Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste è mutata, anche il Servizio Repressione Frodi è stato limitato nel numero di sedi ed il termine “sostenibile” viene a sproposito usato per identificare qualsiasi cosa non avente un aggettivo qualificante qualcosa di concreto; quando non si sa come vantare qualcosa si ha il vezzo di definirla “sostenibile” pur di non chiarirne il perché. Quando il prezzo di un qualcosa si ha il sentore che non remuneri a sufficienza chi la produce, si inventa il corrispondente denominabile “bio”. Così ritroviamo in mercato sia ortaggi di serie A sia ortaggi di serie B, quindi acquirenti di serie A ed acquirenti di serie B, quasi a sancire che la sicurezza alimentare possa essere qualificata di serie A per alcuni e di serie B per i meno abbienti. Questa “invenzione” ha colpito anche la produzione vegetale ed i trasformati vegetali di ogni genere.
Leggiamo su una rivista del settore alimentare, nel gennaio del 2023, una frase del genere:
“Le conseguenze delle pratiche moderne (che contribuiscono ai fenomeni di degradazione ambientale, al consumo non sostenibile di risorse naturali e ad un utilizzo eccessivo e dannoso di prodotti fitosanitari) destano preoccupazione sia per il loro impatto ecologico, ed il conseguente deterioramento degli ecosistemi, sia per le insidiose implicazioni per la nutrizione mondiale”. (Industrie Alimentari, 62 n.641, gennaio 2023)
Intanto non si riesce a immaginare quali siano le “pratiche moderne” che creerebbero il cataclisma che produce preoccupazione: intanto qualcuno dovrebbe spiegarci in che cosa consiste il consumo al solito “non sostenibile” delle risorse naturali, a quali risorse ci si riferisce e descriverci in parole meno criptiche in conseguenza di che cosa sia provocato il “deterioramento” degli ecosistemi e le “insidiose implicazioni” per la nutrizione mondiale”. Se gli “scrittori” si riferiscono all’utilizzo eccessivo e dannoso degli antiparassitari, occorrerebbe dimostrare che tutto il settore agricolo utilizza in modo eccessivo prima ed in modo dannoso gli antiparassitari, ma senza parlare in modo laconico, generico ed incompetente; quando si lancia uno strale di tal genere occorre intanto sapere che è stato proprio l’impiego dei fitofarmaci a consentire di produrre e salvare produzioni immensamente estese di derrate agricole quali il mais e granaglie di ogni altro genere che documentatamente consentono la sopravvivenza di popolazioni meno fortunate della nostra, popolazioni che non hanno il tempo di accedere alle filosofie inconsistenti che sono appannaggio di chi scrive e non va in campagna o non ha calcato mai le zolle di una campagna.
L’assurdo poi si raggiunge quando si fa appello al riconoscimento di nesso fra le componenti citate nella frase prima riportata in corsivo per accedere all’opportunità “di affrontare una varietà di sfide verso sistemi alimentari più sostenibili”. In pratica, l’accesso alla carne derivante da biomasse da reattore sarebbe una delle sfide “sostenibile” secondo una certa classe di sperimentatori, la produzione di farine da grilli sarebbe altra sfida sostenibile, l’eliminazione delle mucche sarebbe anch’essa di fatto una sfida sostenibile, o anche una vendetta sostenibile in risposta alla produzione di anidride carbonica e metano.
Ma si raggiunge il massimo del linguaggio “insostenibile” quando si scrive quanto segue:
“il ruolo svolto dall’agricoltura nei confronti della sicurezza alimentare e della qualità del sistema è considerato sempre più cruciale” (Industrie Alimentari, 62, n.641, gennaio 2023).
Si raggiunge infine imperdonabilmente il livello etico più basso della comunicazione quando si vuole giustificare l’accesso a sperimentazioni senza senso parlando di “una crescente preoccupazione riguardo l’impatto e la sostenibilità degli attuali modelli di consumo e di produzione” (stessa bibliografia citata).
Si riesce finalmente a identificare l’origine della istituzione della denominazione “bio” adottata a seguito della costituzione di un protocollo operativo per l’ “agricoltura” biologica. CHI ha potuto consentire che si possa qualificare un vino come “bio”, così come quella di un frutto “bio”, CHI abbia potuto pensare di costituire un espositore “bio” in una GDO? Vi è certamente CHI vuol distinguere il ricco dal povero anche in alimentazione.
La meraviglia pervade lo scrivente per l’assenza di opposizione a questo andazzo da parte del mondo agricolo. Una considerazione importante è doverosa: le così definite “invenzioni”, di cui agli esempi accennati prima, sono vendute in nome della fame nel mondo a cui non si riuscirà (secondo il disegno e la politica economica di alcuni) a porre rimedio. Non sono causa di deterioramento del mondo le mucche attraverso la CO2 ed il CH4 prodotta direttamente o indirettamente, ma la crescita abnorme della popolazione in Paesi in cui la smisurata povertà continua a far parlare della fame nel mondo. Molti stentano ad accettare un’apparente contraddizione: il mondo è stato costruito non per un numero indefinito di soggetti che ci si aspetta di veder nascere, e la produzione alimentare non può adeguarsi se non alla necessità di sopperire al bisogno del numero stragrande di viventi, ma senza creare disequilibrio fra gli stessi esseri viventi. Il bisogno di proporre “proteine alternative” come quelle delle farine da insetti deriva quindi dal non considerare che il consumo alimentare di insetti è una depravazione di una insana “ricerca” che rischia di snaturare la naturale diversità fra popolazioni “diverse”
Cosi la spinta a produzioni vegetali abnormi nel rapporto “vegetale/mq” non è da considerarsi sempre una vittoria della tecnologia agraria, è invece la spinta prodotta da chi pensa che la produttività sia la soluzione al problema della fame nel mondo e nello stesso tempo la soluzione per la produzione di un reddito più soddisfacente. Così non è, in quanto a consentire di produrre un reddito sufficiente può solo una politica che permetta un utilizzo razionalizzato della trasformazione dei vegetali che eviti gli sprechi e nello stesso tempo permetta una giusta remunerazione da parte dei trasformatori a favore dei veri produttori del bene vegetale. A produrre destabilizzazione degli equilibri concorre anche la GDO, attraverso approvvigionamento strozzato del fresco e del trasformato, inculcando l’idea del maggior benessere derivante dalla concorrenza nei prezzi esposti alla popolazione che cresce inevitabilmente anche per la trasmigrazione delle popolazioni stesse.
Attraverso la “rincorsa” alla produttività proteica, la Comunità produce disequilibri anche di tipo “sociale”, destabilizzando le spontanee direttive di una alimentazione legata al territorio, snaturando le tendenze alimentari diversificate che abbiamo acquisito nel tempo.
Il messaggio che si intende inviare è quello della acquisizione di una coscienza del potere della classe produttrice del vegetale, che non può ritenersi avulsa dalla tendenza all’imprenditoria della trasformazione, restando soltanto in attesa di una maggior generosità da parte della classe che ora trasforma e ricolloca con plus valore.
Si stigmatizza, in sostanza, la povertà culturale di chi inneggia allo stravolgimento dei principi alimentari legati al territorio con proposte di alternative che non ci sono congeniali e che hanno come fine la standardizzazione del sistema alimentare europeo, attraverso un livellamento che chi è vissuto nella tendenza alla “qualità per tutti”, non può se non deprecare. In sostanza, per dimostrare una falsa tendenza al fornire alimento sufficiente al mondo, si preferisce desertificare il mondo stesso, eliminare le mucche e produrre carne da proliferazione di biomasse, produrre colture di insetti da considerare fonte proteica, ed inneggiare a produzioni vegetali che simulino la produzione animale.
La gestione della cultura ha, nell’ultimo cinquantennio, in sostanza favorito la lotta a tutto quanto si è costruito a partire dalla produttività del vegetale, da ultimo anche attraverso il falso spettro dell’anidride carbonica. In questo ordine di idee si inserisce anche la lotta agli OGM, e le conseguenti considerazioni che in questa sede sarebbe inopportuno discutere.
Il consumatore viene, in questo gioco delle presunte soluzioni al problema della fame del mondo, considerato un assistente al gioco delle tre carte, tristemente noto per chi ne abbia fatto le spese: “…questo vince e questo perde”…….era la frase che accompagnava l’azione di chi gestiva il gioco e depistava l’attenzione dello scommettitore non consentendogli di identificare la posizione della carta da “scoprire”. In modo analogo, abbiamo assistito alla lotta agli OGM, ora assistiamo alla lotta all’anidride carbonica, e come carta risolutiva dovremmo considerare quella degli insetti come “carta vincente”. La cultura scientifica non smette di meravigliare, innestandosi in un gioco perverso, ed il mondo paga lo scotto per queste “ricerche” svolte da mistificatori del bene comune che vengono anche gratificati per la proposta di proteine da bacherozzi in sostituzione delle proteine da latte e derivati.
Manca tra l’altro, ai propositori di brutture “alimentari” a cui abbiamo accennato, la conoscenza dei meccanismi biochimici attraverso i quali soltanto al mondo spontaneamente vivente è consentito di originare l’infinità di metaboliti necessari alla “vita”, al di là dei macronutrienti a cui solo l’ignoranza scientifica può attribuire esclusiva fondamentale importanza.