A fronte dell’incremento della domanda di latte e derivati, che interessa oggi il mondo intero e si dimensiona globalmente su 1,5 -2,0 %, la ricerca scientifica fa registrare parallelamente un incremento nello sviluppo di derivati che tendono a ridurre la resistenza al consumo che talune fasce di nutrizionisti giustificano con argomentazioni varie: contenuto di acidi grassi saturi, contenuto in materia grassa totale, intolleranza non rara al lattosio, digeribilità talvolta limitata per la proteina del latte (caseina).
Mentre è tuttora in discussione la serie di considerazioni riguardanti la materia grassa che si vorrebbe penalizzare nell’immagine sulla scorta di generiche considerazioni quantitative relegabili al rapporto fra acidi grassi saturi ed acidi grassi insaturi, assumono collocazione non proprio trascurabile quelle che riguardano l’intolleranza al lattosio e la risposta alla talvolta “non confortevole digeribilità”, definita con l’acronimo PD3 (post-dairy digestive discomfort) attribuibile alla frazione proteica.
La citata “intolleranza”, che per alcuni versi presenta caratteri simili a quelli prodotti dal lattosio, si giustifica con la struttura di un tipo di frazione proteica detta A1, che accompagna comunemente il tipo A2 nella più parte delle produzioni lattiere. Le due tipologie di ϐ-caseina dette A1 ed A2 si differenziano nella sequenza della composizione aminoacidica della catena proteica di ϐ-caseina e precisamente nella posizione 67 della catena. Nel sito interessato n.67 della catena aminoacidica la ß–caseina A2 contiene l’aminoacido “prolina” mentre la ß–caseina A1 contiene l’aminoacido “istidina”.
In corso di digestione la frazione proteica A1 riduce la frequenza e l’ampiezza delle contrazioni intestinali, e quindi i soggetti umani che risultano sensibili a tale “diversità” risultano soggetti ad una ridotta sensazione di benessere in fase di digestione. L’effetto proteolitico della digestione può originare, in soggetti sensibili, la formazione di una molecola cui si deve l’effetto indesiderato identificata come BCM-7 derivabile dalla ß-caseina A1.
Studi che riguardano il tema accennato sono stati svolti da Sun Jiangin ed altri coll. e pubblicati su Nutrition Journal (2016, 15:35) ed hanno condotto a due linee di pensiero e conseguente sperimentazione: l’una diretta a selezionare bovine produttrici di latte non contenente ß–caseina A1, l’altra ad adottare tecnologie che influiscano sulla struttura aminoacidica A1+A2, né più né meno adottando principi della tipologia che ha condotto a disporre di latte con lattosio idrolizzato, ormai in ampio uso sul mercato, risultante in prodotto derivato che non provoca i “disordini” della nota intolleranza al lattosio.
La prima linea di ricerca, quella diretta alla “selezione” delle bovine è quella attualmente perseguita da gruppo industriale che vorrà certamente creare un “latte A2”; la linea di ricerca adottata dal “Centro Science Brazzale” è invece quella che tende a conservare integra la ricchezza aminoacidica globale del latte vaccino, intervenendo con tecnologia enzimatica direttamente sulla matrice “latte”.
La sperimentazione e le ricerche analitiche correlate sono in corso con attività coordinata dai Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche su Alimenti e Ambiente – Di.S.A.A. UniMi. Il progetto di studio è coordinato dal Prof.Fernando Tateo e dalla Prof.Monica Bononi.
LA NUOVA ERA DI LATTE E DERIVATI – THIENE 20-21 GIUGNO 2024
COMUNICATO STAMPA FINALE