Note sulla maturazione dei formaggi e sua influenza sulla complessità dei toni aromatici primari e indotti.

nota Prof. Fernando Gabriele Giorgio Tateo, Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari (UniMi), e Prof. Monica Bonomi, Cattedra di Analisi Chimica degli Alimenti, Università degli Studi di Milano

In una nota riportata su questo sito si è avuto modo di non condividere l’affermazione redatta da un “esperto” del settore che ha voluto evidenziare l’effetto positivo della “maturazione” dei formaggi richiamando il fenomeno della riduzione della quantità d’acqua della massa in stagionatura: secondo l’esperto a ciò conseguirebbe l’incremento del contenuto in costituenti nutrizionali. Solo per evitare che i nostri lettori recepiscano informazioni inadeguate, si ritiene utile precisare che il processo di maturazione è ben più complesso di quello che qualcuno descrive come semplice concentrazione di nutrienti per perdita d’acqua e che ha invece come conseguenza la produzione di aromi caratteristici derivati da processi enzimatici di lisi a carico dei costituenti fondamentali: lattosio, proteine, lipidi.

Si coglie occasione per fornire alcune note introduttive sulla percezione dei sapori.

Fu D.P. Hänig che con una nota dal titolo Zur Psychophysik des Geschmackssinnes, apparso su Phuilosophische Studien n.17 del 1901, condusse a redigere la “mappa dei sapori”: il disegno di una lingua su cui furono disegnate zone differenziate capaci di individuare i toni amaro, acido, dolce, salato fece il giro del mondo e finì per essere acquisita in molte pubblicazioni didattiche. In realtà la ricerca svolta aveva evidenziato soltanto limitate differenze nelle “soglie di percezione” di gusti primari in zone diverse della lingua. La potenzialità di percezione dei sapori, nella realtà, è distribuita su tutta la lingua.

Quando si vuol caratterizzare e descrivere con il linguaggio corrente un insieme di sensazioni olfattive e gustative di un alimento ci si trova di fronte ad una difficoltà oggettivamente insormontabile: le sensazioni olfatto-gustative non si generano in noi con lo stesso meccanismo con il quale viene stimolata la memoria legata a persone, luoghi, azioni, fatti.  Mentre a stimoli visivi  quali persone, luoghi, ecc. noi attribuiamo nomi e denominazioni, ponendo il tutto in memoria con dei “link” <parola/cosa>, agli stimoli olfatto-gustativi  che si generano assaporando e annusando gli alimenti non siamo in grado di attribuire una “precisa ed univoca” denominazione da mandare in memoria e di cui parlare utilizzando il linguaggio comune. Lo stimolo olfatto-gustativo di un alimento è infatti il risultato di una molteplicità di stimoli contemporanei che si sommano producendo un risultato finale che è proprio la “somma” difficilmente decodificabile di una infinità di stimoli primordiali.

Per esplicitare tali concetti produciamo un esempio: mentre nell’ammirare un paesaggio noi raccogliamo gli stimoli prodotti sull’apparato visivo da singoli alberi, cime montagnose, ruscelli, ecc.  a cui la memoria associa singoli nomi di cose visibili, nel percepire il gusto/odore prodotto ad es. da un formaggio noi subiamo gli stimoli contemporanei  di una infinità di singoli stimoli prodotti da singole sostanze che nel loro insieme caratterizzano il formaggio stesso. L’uomo non è in grado di identificare con l’apparato boccale e nasale i singoli stimoli, ma “semplifica” le sensazioni ed identifica i toni che si dicono fondamentali: dolce, salato, amaro, sapido. In realtà il tono “acido/aspro” (sapido) si esprime meglio in lingua anglosassone come “sourness” che è più propriamente il termine che esprime ciò che noi intendiamo per “sapido”.

Approcciando correttamente il tema della maturazione, mai sufficientemente trattato in testi divulgativi, è importante dapprima dire che il “sapore” del formaggio è prodotto da sostanze che sono disperse in quello che si definisce “estratto solubile in acqua (WSE, water soluble extract)”. Tale insieme di sostanze debolmente polari è costituito da sali minerali, acidi organici, zuccheri, aminoacidi, peptidi e sostanze volatili arganiche prodottesi per attività enzimatiche di “lipolisi” e “proteolisi”  derivate da metabolismo microbico. In pratica, sono gli enzimi prodotti da microrganismi presenti nella massa del formaggio che attuano processi di trasformazione della sostanza grassa  (lipolisi) e delle sostanze proteiche (proteolisi). La “lisi” di queste sostanze grasse e proteiche conduce a formazione di composti che risultano essere i responsabili del sapore e dell’impatto “odore”. Sono quindi i derivati della proteolisi, e quindi gli aminoacidi derivati da idrolisi delle proteine a produrre gli effetti “amaro” e “sapido”. Sono i derivati della lipolisi e quindi le sostanze aldeidiche e chetoniche derivate dalla modificazione enzimatica delle sostanze grasse (burro) a produrre sostanze organiche volatili apportatrici di sapori ed odori (toni indotti) che caratterizzano in modo più specifico i formaggi, sovrapponendosi a sostanze salate, amare, dolci e sapide della matrice.

Quanto sommariamente detto prima giustifica la complessità del fenomeno di maturazione dei formaggi, che spesso si descrive “sommariamente” attraverso la valutazione dell’intensità dei gusti fondamentali: parlando di intensità di sourness, bitterness e saltiness in pratica non si fa altro se non “raggruppare” in schematici termini una serie complessa di sensazioni gustative e olfattive difficili da descrivere singolarmente. Questo fa sì che, in gergo merceologico semplificato, si possa parlare di “alto grado di sourness” quando all’esame sensoriale si percepisce sia raggiunto un grado sensibile di sapidità, o si possa esprimere un “accettabile grado di bitterness” quando all’esame sensoriale risulti mitigato il tono amaro o di “tenue tono di saltiness” quando non si percepisca soltanto il tono salato del cloruro sodico, ma il tono più morbido conferito dai cloruri di calcio e magnesio (elementi derivati dalla matrice).

A complicare il processo di percezione di sapore-odore v’è l’influenza della matrice, nel caso del formaggio costituita da acqua, lipidi e proteine: è la struttura chimico-fisica e reologica della matrice a condizionare il rilascio delle sostanze aromatiche e a influire sulla percezione delle stesse. I caratteri strutturali della matrice condizionano infatti la masticazione, che è la fase in cui si realizza la diffusione del WSE (water soluble extract) in tutto il sistema bocca/naso.

Riproponendo il tema della maturazione, si può quindi considerare che la carica microbica della matrice del formaggio è il primo fattore che guida l’andamento dei fenomeni enzimatici di “lisi” (lysis) a carico di proteine e sostanze grasse con conseguente formazione di molecole aromatiche volatili, che si concentrano nella frazione acquosa del formaggio. La struttura-base del formaggio contiene in dispersione la frazione acquosa, che si distribuisce nella massa in funzione delle caratteristiche reologiche della massa stessa: le micro-fermentazioni che si producono nel tempo contribuiscono alla dispersione dei composti organici volatili e la natura delle fermentazioni condiziona la tipologia di aroma globalmente percepito. Da ciò l’importanza della composizione media della carica microbica che può differenziare prodotti ottenuti anche con una stessa tecnologia: il microclima di stoccaggio può quindi influenzare l’appetibilità di un formaggio ottenuto con una definita tecnologia e prodotto con una stessa tipologia media di latte. Ciò perché il “microclima” influenza la vita della carica microbica e ne provoca inimmaginabili selezioni.

Si sovrappone ovviamente alla serie di fenomeni descritti il fattore “tempo”, che nei formaggi a pasta dura conduce ad un incremento continuo della “sapidità”, ed a modifiche di salinità e di tono “bitterness”.

Il risultato della maturazione viene poi percepito attraverso la masticazione con intensità soggettive diverse: su ciò influisce il grado di dispersione del WSE nella massa, condizionato a sua volta come già accennato prima, dalla struttura reologica della massa stessa.

La biodiversità della carica microbica dei formaggi è in definitiva il fattore condizionante della qualità percepita sensorialmente: essa condiziona sia i fenomeni enzimatici e quindi la formazione di sostanze organiche volatili, sia la struttura della massa lipo-proteica. Tempo e condizioni di stoccaggio, insieme a microclima, influiscono come fattori condizionanti della maturazione alla pari di quanto possa influire la qualità del latte impiegato in produzione.

Le tecnologie di produzione condizionano certamente la carica batterica dei formaggi e la selezione di questi ultimi deriva proprio dalle tecnologie adottate, che selezionano popolazioni microbiche “dominanti”. Anche i lieviti hanno una loro funzione nella maturazione, influendo particolarmente nel metabolismo dei lattati cui consegue anche produzione di sostanze aromatiche caratterizzanti e mitigazione dell’acidità nel tempo. Enzimi di origine microbica, derivati da degradazione di microrganismi, agiscono assieme ad enzimi derivati dall’impiego di “starter”.

 

Le brevi note qui riportate sono atte a ricordare gli aspetti più comuni del complesso processo di maturazione: la bibliografia è ricca di note puntuali a cui si rimanda per completezza di informazione. Vale inoltre precisare che l’arte del produrre trasformando una materia prima come il latte, risiede proprio nella difficoltà di oggettiva di “standardizzare” e nel non voler pretendere di raggiungere elevatissimo grado di standardizzazione (di fatto impossibile ed altrettanto inutile) attraverso decaloghi e protocolli disciplinati.

 

Prof. Fernando Tateo

Prof. Monica Bononi

 

  1. Buona sera,

    Avrei una domanda in merito al concetto di sapidità:

    Nell’analisi sensoriale, il termine “sapido” viene normalmente associato all’umami/glutammato ma non all’acido/aspro/sour. Forse fraintendo qualcosa?

    Ringrazio anticipatamente per la gentile attenzione.

    1. Posto che il termine “umami” è sorto in tempi relativamente recenti e lontani da quelli in cui, come ho scritto, fu ideata la mappa dei sapori, secondo noi il termine “sapido” è da attribuire semmai alla manifestazione congiunta di acido/aspro, fusione che non relega questa impressione sensoriale a effetto solo negativo ma talvolta produce effetto positivo di “sapidità”.
      Per completezza, ripetiamo che i sapori detti anche “di base” (o “fondamentali”) sono solo l’approccio molto iniziale ad una descrizione sensoriale che per il formaggio, come per tutti gli alimenti, abbisogna di molti e molti altri termini specifici descrittivi che comunque secondo noi servono comunque a poco (fresco, grasso, etereo, ecc.). Una vera descrizione caratterizzante una globalità di sensazioni ha un significato solo se accompagnata da una puntuale analisi in gascromatografia/spettrometria di massa: questo è l’unico mezzo che seleziona singole molecole, attribuisce ad ognuna di esse un nome in nomenclatura chimica appropriata e consente di realizzare veri e propri paragoni fra materie prime o prodotti finiti di una stessa tipologia.
      In definitiva, secondo noi anche un’analisi sensoriale che tenti di individuare denominazioni appropriate per ognuno dei toni presenti ed “estratti” una globalità di sensazioni diventa solo un esercizio grafico-nasale di tutto rispetto, ma che noi non condividiamo come utile per l’approccio chimico-analitico che preferiamo utilizzare nella pratica descrittivo-edonistica come nella pratica industriale. Non per altro formuliamo aromi, servendoci di puntuali e approfondite analisi spettroscopiche (GC/MS, GC/MS/MS, LC/MS, Orbitrap, ecc.)
      La teoria dei 4 o 5 sapori fondamentali che si ritiene da alcuni ancora utilizzabile, di fatto resta una realtà importante ma solo di valore storico (vedi data riportata nel testo). Ne abbiamo fatto solo citazione proprio per puntualizzare che, visti i processi naturali così complessi, è il momento di riferire in termini di molecole individuate analiticamente piuttosto che come sensazioni troppo difficili da differenziare e distinguere descrivendole in italiano come in inglese: Una vera caratterizzazione si può fare solo con necessaria preparazione scientifica e con necessario impiego di strumentazione chimico-fisica adeguata.
      Lungi dal voler indire polemica, non intendiamo misurarci con chi fa analisi sensoriale perché seguiamo altra linea di pensiero (quella della chimica analitica) per ragioni di preparazione di base molto diversa.

      N.B. Il termine umami, secondo me, è anche infelice e per me il sapore conferito dal glutammato e simili non è proprio un “sapore fondamentale”, anche se oggi i sostenitori di analisi sensoriale hanno creduto di volerlo promuovere al rango di fondamentale. …libertà va cercando ch’è si cara come sa chi per lei vita rifiuta…

      Prof. Fernando Tateo, Prof. Monica Bononi

  2. Gentili Professori,
     
    Vi sono sinceramente grata per una risposta tanto estesa e puntuale, offerta ad una domanda posta per genuina curiosità e desiderio di apprendere.

    È molto interessante conoscere un diverso approccio al tema e credo costituisca un vero arricchimento anche per chi si occupa semplicemente di analisi sensoriale, pur non avendo una formazione nell’ambito della chimica analitica. Personalmente non vedo alcuna contrapposizione di punti di vista. Al contrario, trovo che si tratti di osservazioni che possono ben integrarsi, in un’ottica di approccio conoscitivo più ampio. 

    Mi preme sottolineare che non intendevo esprimere alcuna accezione negativa legata al termine “sapido”: lo stesso viene infatti comunemente utilizzato per individuare delle percezioni positive, spesso ritrovate nei formaggi a pasta dura di lunga stagionatura più nobili, che rimandano all’aroma di brodo di carne. Rimando inoltre ad una semplice definizione di qualsiasi dizionario di lingua italiana: “che ha sapore, ricco di gusto (…); di sapore pieno e gradevole”.

    Aldilà delle considerazioni sul metodo, peraltro molto apprezzate e pienamente condivise da chi scrive, mi chiedo quali siano le regioni analitico-chimiche che vi portano ad affermare che, secondo voi, il termine “sapido” sia da attribuire alla manifestazione congiunta di acido/aspro. Chiedo questo perché in nessun ambito professionale caseario mi è mai capitato di sentire tale vocabolo utilizzato con questa accezione.

    Mi permetto di sottolineare nuovamente lo spirito propositivo e per nulla ostile o polemico del quesito.

    Scusandomi per il lungo commento,  ringrazio nuovamente per l’attenzione e saluto cordialmente. 

    1. Gentilissima
      scrivere dei tomi per un tema così mi sembra eccessivo, quindi sintetizzo e concludo.
      Per noi il termine sapido come risultato di acido/aspro non si riferisce a sensazione compresa fra le negative, e questo doveva già esser chiaro da quanto scritto precedentemente. Sollecitare un tono che non è “acido” ma è misto con “aspro” significa per noi che è mitigato l’acido e mitigato l’aspro, sicché la sensazione così definibile risulta rappresentativa di un tono che colpisce positivamente l’apparato boccale. Se Lei ed altri vogliono attribuire a questo termine ciò che richiama “umami”, pare che non ci sia alcuna pena corporale prevista. Ciò in forza del fatto che il termine “sapido” non l’ha comperato nessuno, e che se coloro che fanno sensoriale vogliono comperare dei termini da usare in esclusiva dovrebbero “depositare” una ricerca che identifichi esattamente quali molecole , in un insieme ben definito percentualmente, sono quelle che meritano la denominazione di “sapido”. Ma occorre trovare un notaio e successivamente un’ente che brevetti (o depositi) il complesso di molecole a cui il valutatore sensoriale desidera affibbiare la denominazione del gusto risultante e dichiarato “sapido”.
      Per quanto conosca gli uffici brevetto (ho fatto depositi e brevetti) non ne troverà uno che accetti di brevettare il nome “sapido” in associazione a una definita miscela di molecole, perché il termine sapido è una denominazione che in termini tecnici non è definibile dal vocabolario, e non si possono brevettare denominazioni che già esistono e che nessuno ha potuto comperare mai.
      Non voglio andare oltre, perché si rischia di fare filosofia inutile.
      Lei vuole trascinarmi a dire che i sensorialisti non decidono nulla, ma io non lo dico. Chiaro?
      Io chiamo “sapido” anche il mio prossimo figlio e nessuno mi può contestare perché attribuisco un nome ad una vera identità (una persona nata da….e da….). L’affibiazione di un termine ad una sensazione che non è concreta (e può esserlo solo in mestiere analitico) è una bella trovata, ma noi non siamo d’accordo.
      Ma noi non useremo MAI un termine per definire una sensazione, faremo semmai un “accostamento” (semmai) di una sensazione ad una definita molecola. Chiaro?
      In termini tecnici io chiamo francesco una sensazione che corrisponde ad una molecola e non me lo può proibire nessuno.
      Ma noi non facciamo queste cose.
      Segua le nostre ricerche e si renderà conto che non comperiamo termini: soltanto identifichiamo molecole che la IUPAC ha chiamato in un certo modo e che sono entità vere.
      Le altre cose sono frutto di buona volontà e di libertà. Noi invece crediamo solo a entità cui corrispondono denominazioni stabilite dalla IUPAC. Siamo volutamente succubi.
      La filosofia è arte di altri, non nostra, non se ne abbia. Se qualcuno non sa e non vuole imparare l’analitica è libero, nello stesso modo con cui io sono libero di chiamare “sapido” mio figlio.

      Con molti cordiali inviti a seguire un corso di analitica, gratuito anche, che faremo a chi vorrà. Ma senza discussioni.

  3. Gentilissimo,

    Sono piuttosto imbarazzata dal tono che usa e chiudo volentieri questo scambio, deducendo con un buon grado di certezza che il tema è tragicamente di linguistica italiana, più che di chimica analitica. Questo è, in effetti, CHIARO!

    Un caro saluto.

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